Perché diversi paesi arabi hanno difeso
Israele contro l’Iran. E' qualcosa di mai visto, ma
non improvvisato
di Pierre Haski - France Inter
PARIGI
- Per capire quello che sta succedendo tra Israele e l’Iran bisogna fare caso al comportamento dei
paesi arabi in Medio Oriente. Per la prima volta diversi di loro hanno preso
parte, direttamente o indirettamente, alla difesa dello stato ebraico.
È
il risultato di anni di contatti politici, economici ma anche militari
incoraggiati dagli Stati Uniti, che hanno superato il primo vero test. La
vicenda avrà un peso rilevante nell’equazione mediorientale del futuro, e già
oggi è un fattore importante nell’esitazione di Israele davanti alla
possibilità di rispondere (o non rispondere) all’attacco condotto dall’Iran
attraverso missili e droni.
Un
paese arabo è già stato citato: la Giordania, che ha partecipato all’azione
collettiva in risposta all’attacco di Teheran. L’aviazione giordana avrebbe
distrutto fino al 20 per cento dei missili e droni lanciati dall’Iran. Inoltre,
è nei cieli sopra la Giordania che gli aerei statunitensi, britannici e
israeliani li hanno intercettati. Ufficialmente la Giordania ha semplicemente
difeso il suo spazio aereo, ma nei fatti il regno hashemita, in cui la regina e
parte della popolazione sono palestinesi, ha difeso la sicurezza di Israele.
La
Giordania
non è l’unico paese a essere intervenuto. Citando fonti statunitensi, il Wall
Street Journal ha scritto che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti
avrebbero partecipato fornendo informazioni agli Stati Uniti e preso parte alla
difesa di Israele. I loro radar e strumenti di raccolta di informazioni
avrebbero condiviso i dati durante le ore critiche dell’attacco.
È
qualcosa di mai visto, ma non c’è nulla di improvvisato. Tutto questo, tra
l’altro, succede in un momento in cui l’esercito israeliano continua la sua
impietosa guerra a Gaza, condannato dagli stessi paesi che lo hanno appena
aiutato.
Per
capire la situazione bisogna tornare indietro nel tempo, ai primi contatti che
hanno portato nel 2020 agli accordi di Abramo tra Israele e diversi paesi arabi, come
gli Emirati o il Bahrein. Attraverso questi contatti sono stati stabiliti
legami di sicurezza, perfino con l’Arabia Saudita, che tuttavia non ha ancora
firmato un accordo con Israele.
A
marzo del 2022 il generale statunitense Frank McKenzie ha organizzato a Sharm el Sheikh un incontro tra i capi di stato maggiore di
Israele e di alcuni paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati.
L’obiettivo era un coordinamento delle difese aeree davanti alla minaccia
iraniana.
Non
si tratta di un’alleanza formale né tantomeno di una sorta di Nato
mediorientale, come ha suggerito qualcuno. È ancora troppo presto per
un’evoluzione simile, ma resta il fatto che c’è la volontà d’imparare a
lavorare insieme. Il primo test è arrivato lunedì, ed è stato superato.
E
ora? La situazione non è affatto semplice. Nessun paese arabo è disposto ad
accettare un attacco diretto di Israele contro l’Iran, che rovinerebbe il
riflesso di solidarietà emerso negli ultimi giorni grazie agli statunitensi. Inoltre nessuno, ognuno per le sue ragioni, intende chiudere
gli occhi davanti alla carneficina di Gaza.
La
palla, dunque, passa a Israele, che dovrà fare una scelta: da una parte una
reazione con le maniere forti, che provocherebbe un relativo isolamento e una
guerra prolungata, dall’altra un processo politico regionale con un passaggio
obbligato dalla questione palestinese. Il problema è che dopo il 7 ottobre
Israele sembra aver scelto la prima soluzione.
***
(Pierre
Haski è un giornalista francese, tra i fondatori del sito d’informazione
Rue89. Ha una rubrica quotidiana di politica internazionale su radio
France Inter, pubblicata ogni mattina sul sito di "Internazionale" -
Traduzione di Andrea Sparacino - Sostenete la buona stampa con un abbonamento a
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