Cybersicurezza o libertà minacciata? Guterres (Onu) celebra la Convenzione di Hanoi 

di Stefano Vaccara - La Voce di New York

 

NEW YORK - Sessantacinque Paesi hanno firmato ad Hanoi la nuova Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità informatica, un trattato che il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha definito “una pietra miliare per la cooperazione digitale globale”. Tra gli assenti – e le polemiche – si intravedono già le fragilità di un accordo che vuole mettere ordine nel cyberspazio mentre molti Stati lo usano ancora per reprimere le libertà.

 

La cerimonia, ospitata dal Vietnam in collaborazione con l’Ufficio ONU contro la droga e il crimine (UNODC), segna il primo tentativo di creare un quadro legale universale contro i reati online: dalla frode finanziaria al ransomware, fino alla diffusione non consensuale di immagini intime.
Guterres ha parlato di “una vittoria per le vittime di abusi online” e di “una promessa che nessun Paese, ricco o povero, sarà lasciato indifeso contro il cybercrime”.

 

La Convenzione di Hanoi, adottata dall’Assemblea generale nel dicembre 2024 dopo otto sessioni negoziali e cinque incontri tecnici, è composta da nove capitoli e 71 articoli. Definisce in modo dettagliato i reati digitali e i meccanismi di cooperazione giudiziaria tra Stati.
I Paesi firmatari si impegnano a criminalizzare l’accesso non autorizzato ai sistemi informatici, la manipolazione o cancellazione di dati, l’uso improprio di dispositivi elettronici e le frodi online.
Due articoli riguardano i reati contro i minori, in particolare lo sfruttamento sessuale in rete.

 

Ogni Stato dovrà istituire una rete di contatto attiva 24 ore su 24 e sette giorni su sette, per fornire supporto immediato alle indagini e alla conservazione delle prove elettroniche, e potrà stipulare accordi di cooperazione bilaterali o multilaterali.
L’obiettivo, spiega l’articolo 41, è creare una “polizia digitale globale”, capace di rispondere rapidamente ai casi urgenti e tracciare flussi finanziari illeciti oltre i confini.

 

Secondo i primi elenchi diffusi dalla stampa vietnamita, tra i firmatari figurano Vietnam, Brasile, Belgio, Irlanda, Australia, Cile, Ghana, Cuba, Bielorussia e Grecia. Altri Paesi hanno partecipato come osservatori e potranno firmare successivamente a New York entro il 31 dicembre 2026.
L’Italia, al momento, non risulta tra i firmatari (ma l’UE ha firmato), così come Stati Uniti, Cina e Russia, che pure avevano preso parte ai negoziati. La loro assenza ridimensiona, almeno per ora, la portata “universale” della Convenzione, che entrerà in vigore 90 giorni dopo la 40ª ratifica.

 

Durante la conferenza stampa quotidiana all’ONU di venerdì, ho chiesto al vice-portavoce Farhan Haq se il Segretario generale fosse consapevole delle preoccupazioni espresse da diverse organizzazioni per la libertà di stampa, che temono un uso distorto delle nuove leggi anti-cybercrime per zittire i giornalisti e criminalizzare il dissenso e cosa ne pensasse. 
La risposta di Haq è stata prudente ma significativa: “Il Segretario generale vuole che sia chiaro che la Convenzione deve proteggere i diritti fondamentali, inclusi privacy, dignità e sicurezza. Nella lotta al cybercrime, gli standard sui diritti umani devono essere pienamente rispettati”.

 

Molte ONG, da Human Rights Watch al Committee to Protect Journalists, hanno denunciato che alcuni governi, tra cui Arabia Saudita, Egitto e Turchia, usano già leggi simili per arrestare reporter o bloccare siti scomodi, etichettando come “reati informatici” le attività giornalistiche online.
La preoccupazione è che il nuovo trattato, pur nato con intenti cooperativi, possa finire per legittimare norme repressive nei Paesi che non garantiscono indipendenza giudiziaria o libertà di stampa.

 

Rispondendo alle critiche durante una conferenza stampa ad Hanoi, António Guterres ha ribadito che la Convenzione di Hanoi è “il primo trattato penale internazionale che tutela esplicitamente i diritti umani”. Ha respinto le accuse di poter criminalizzare ricercatori o attivisti digitali, spiegando che le attività di ricerca sono protette dal testo stesso e che la cooperazione tra Stati “non può essere usata per fini di sorveglianza”.
“Se uno Stato sospetta che un altro possa usare le informazioni condivise in violazione dei diritti umani — ha aggiunto — la Convenzione permette di rifiutare lo scambio dei dati.”
Un chiarimento diretto, arrivato dopo le critiche di gruppi come il Cybersecurity Tech Accord (che include Meta e Infosys), secondo i quali il trattato sarebbe “un compromesso ambiguo” che rischia di colpire giornalisti e ricercatori invece dei criminali informatici.

 

Il tema non è nuovo alle Nazioni Unite. Solo una settimana fa, al Palazzo di Vetro, la Fondazione Magna Grecia e la Missione italiana all’ONU avevano organizzato la conferenza “Il crimine organizzato nell’era dei social media”, con interventi del procuratore Nicola Gratteri, della presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo e degli studiosi Marcello Ravveduto e Antonio Nicaso. L’incontro aveva messo in luce come le mafie usino TikTok, Instagram e il dark web per costruire consenso e fare affari, e come la legalità debba imparare a essere globale e digitale quanto il crimine che combatte.

 

Il trattato di Hanoi arriva dunque in un momento in cui la criminalità informatica e quella organizzata spesso si sovrappongono, muovendosi tra social network e finanza digitale.

 

Nel suo discorso ad Hanoi, Guterres ha invitato gli Stati a “trasformare le firme in azione”, ratificando e applicando la Convenzione. Ma ha anche ricordato che “in cyberspazio nessuno è al sicuro finché non lo sono tutti”, evocando l’urgenza di una cooperazione fondata sulla fiducia reciproca.
Resta però il dubbio che, senza l’adesione di tutte le grandi potenze e senza un meccanismo di garanzie effettive sui diritti umani, il nuovo strumento rischi di diventare un’arma a doppio taglio: utile ai governi autoritari, ma poco efficace contro le reti criminali transnazionali.

 

L’auspicio – come Guterres stesso ha ribadito – è che il Trattato di Hanoi possa “costruire un cyberspazio che rispetti la dignità e i diritti di tutti”.
Un obiettivo ambizioso, che solo una vigilanza continua della società civile e dei media potrà trasformare da promessa diplomatica in reale sicurezza digitale per tutti.

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(Stefano Vaccara www.lavocedinewyork.com  Giornalista e scrittore. Nato e cresciuto in Sicilia, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America con Il Giornale di Montanelli, America Oggi e USItalia weekly. Dal Palazzo di Vetro oggi racconta l’ONU dopo aver fondato e diretto La Voce di New York dal 2013 a gennaio 2023)