Israele sfida il
Consiglio di Sicurezza Onu: l’attacco al Qatar è “legittimo”. Ambigua la
posizione Usa
di
Stefano Vaccara - La Voce di New York
NEW YORK - La
riunione del Consiglio di Sicurezza di giovedì sul raid israeliano a Doha ha
messo in luce, con rara chiarezza, le fratture della comunità internazionale e
il livello di tensione in un conflitto che continua a espandersi ben oltre
Gaza.
Ad aprire il
briefing è stata Rosemary DiCarlo, sottosegretaria
generale per gli Affari politici e di peacebuilding, che ha parlato di
“un’escalation allarmante” e di una “violazione della sovranità del Qatar che
rischia di aprire un nuovo e pericoloso capitolo”. Il 9 settembre, un attacco
aereo israeliano ha colpito un complesso residenziale nella capitale qatariota,
provocando la morte di diversi affiliati di Hamas e di un ufficiale della
sicurezza locale. Secondo Doha, nell’area vivevano membri delle delegazioni
impegnate nei negoziati mediati da Stati Uniti ed Egitto per un cessate il
fuoco e la liberazione degli ostaggi.
“Ogni azione che
mina la mediazione indebolisce la fiducia negli strumenti stessi di cui
disponiamo per risolvere i conflitti”, ha ammonito DiCarlo,
ricordando che “la sovranità e l’integrità territoriale di ogni Stato, compreso
il Qatar, deve essere rispettata”.
Israele ha
rivendicato l’operazione. Il premier Benjamin Netanyahu l’ha definita “una
operazione indipendente” lanciata dopo la strage di civili in una fermata
dell’autobus a Gerusalemme l’8 settembre, attentato che Hamas ha rivendicato. A
Doha, Hamas ha denunciato la morte di almeno cinque persone legate al suo
ufficio politico, tra cui il figlio del suo negoziatore capo Khalil al-Hayya. I leader più alti in grado sarebbero sopravvissuti,
ma i colloqui per una tregua sarebbero stati gravemente compromessi.
Il Consiglio,
prima ancora della riunione, aveva diffuso una dichiarazione alla stampa
unanime di condanna. Nel testo si ribadiva il sostegno alla sovranità del Qatar
e si sottolineava “il ruolo vitale” dell’emirato nelle mediazioni, accanto a
Egitto e Stati Uniti.
La dichiarazione
americana è stata tra le più attese. L’ambasciatrice Dorothy Shea ha
sottolineato che “bombardamenti unilaterali dentro il Qatar non avanzano né gli
obiettivi di Israele né quelli degli Stati Uniti”. Ha espresso cordoglio per la
morte dell’ufficiale qatariota e ha ribadito che “colpire un Paese che lavora
coraggiosamente alla mediazione non serve alla causa della pace”.
Ma, allo stesso
tempo, Washington non ha voluto rompere con Gerusalemme: “Eliminare Hamas è un
obiettivo degno”, ha detto Shea, “perché Hamas e altri terroristi non devono
avere futuro a Gaza.” Ha ricordato che il presidente Trump “vuole la
liberazione di tutti gli ostaggi e la fine immediata della guerra” e che
Netanyahu, nel colloquio con la Casa Bianca, avrebbe assicurato che incidenti
simili non si ripeteranno su suolo qatariota.
Un messaggio
dunque ambivalente: condanna dell’atto, ma comprensione dell’obiettivo
strategico israeliano.
Dure le parole
della Cina, che con l’ambasciatore Fun Cong ha
parlato di “atto di cattiva fede e sabotaggio deliberato” dei negoziati. Il
rappresentante di Pechino ha ricordato che solo due giorni prima dell’attacco
Israele aveva detto sì a una nuova proposta di tregua avanzata dagli Stati
Uniti. “E poi – ha sottolineato – ha colpito una delegazione di Hamas che stava
discutendo proprio quella proposta. È un comportamento irresponsabile e
spregevole.”
La Francia ha
condannato senza esitazioni il raid su Doha come “violazione del diritto
internazionale”, riaffermando il sostegno alla soluzione dei due Stati. “Un
processo politico è l’unica via possibile”, ha detto il delegato francese,
richiamando la conferenza internazionale co-presieduta con l’Arabia Saudita per
il riconoscimento di uno Stato palestinese.
Dalla Sierra
Leone è arrivata un’accusa pesante: “Attaccare un mediatore costituisce un
crimine di guerra”. L’Algeria ha accusato Israele di comportarsi “come se la
legge non esistesse”, mentre il Regno Unito e la Danimarca hanno invitato a
moderazione e dialogo, pur ribadendo che Hamas “non può avere alcun ruolo nel
futuro di Gaza”. Il Pakistan ha parlato di “tentativo deliberato di sabotare la
diplomazia”, mentre il GCC, la Lega Araba e l’Organizzazione della Cooperazione
Islamica hanno denunciato la violazione della sovranità qatariota.
Il momento più
teso è arrivato con il discorso del Primo Ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, che ha parlato senza mezzi termini di
“attacco contro un mediatore”. “Israele – guidato da estremisti assetati di
sangue – ha oltrepassato ogni limite”, ha detto Al-Thani. “Avete mai sentito
parlare di uno Stato che attacca i negoziatori ospitati da un mediatore?” Ha
definito “vergognosa” la giustificazione del premier Netanyahu, ricordando come
la presenza dell’ufficio politico dei talebani a Doha avesse reso possibile i
colloqui che portarono alla fine della guerra in Afghanistan: “Gli Stati Uniti
non hanno mai colpito i negoziatori talebani”, ha aggiunto, accusando Israele
di “destabilizzare la regione e minare ogni prospettiva di pace”.
Subito dopo ha
preso la parola l’ambasciatore israeliano Danny Danon,
già autore di dichiarazioni forti davanti ai giornalisti all’ingresso del
Consiglio, quando aveva richiamato la risoluzione ONU adottata il giorno stesso
degli attacchi dell’11 settembre 2001. “Il Consiglio allora stabilì che non ci
deve essere rifugio per i terroristi”, aveva detto, tracciando un parallelo tra
l’operazione israeliana a Doha e la caccia di Washington a Bin Laden in
Pakistan.
In sala, Danon ha ribadito la linea d’Israele: “Non esiste santuario
per i terroristi, non a Gaza, non a Teheran, non a Doha. Non esiste immunità
per i terroristi. La storia non sarà gentile con i complici. O il Qatar
condanna Hamas, lo espelle e lo porta davanti alla giustizia, oppure Israele
continuerà a colpire”.
Il diplomatico
israeliano ha respinto le accuse di aver minato i negoziati: “Chi soffre per i
ritardi non sono i leader di Hamas che vivono al Ritz Carlton di Doha, ma gli
ostaggi israeliani e la popolazione di Gaza usata come scudo umano”.
All’interno del
Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore israeliano Danny Danon
ha rivendicato che l’attacco a Doha è stato condotto “in accordo con la
risoluzione approvata dopo l’11 settembre”, che autorizza a colpire i
terroristi ovunque si nascondano. Ha citato l’esempio degli Stati Uniti che
eliminarono Osama bin Laden in Pakistan. Poi ha accusato i Quindici di un
“doppio standard”: “La vera domanda non è perché Israele abbia colpito in Qatar,
ma perché Hamas venga ospitato a Doha.”
Alla fine,
Israele seppur isolata più che mai (in parte anche dagli USA), ha rivendicato
la legittimità delle proprie azioni, paragonandole alla lotta globale al
terrorismo dopo l’11 settembre; il Qatar ha denunciato un’aggressione senza
precedenti contro un mediatore; gran parte della comunità internazionale ha
insistito sulla violazione del diritto internazionale e di sabotaggio dei
negoziati; gli Stati Uniti hanno cercato un equilibrio impossibile tra condanna
e sostegno.
La forza
dell’intervento di Danon – “nessun rifugio per i
terroristi” – ha lasciato il segno. Così come la replica qatariota: “Mai uno
Stato aveva colpito i negoziatori ospitati da un mediatore”. Due visioni
inconciliabili che riflettono l’impasse più ampia di un conflitto, con la diplomazia
ogni giorno più fragile mentre a Gaza la popolazione civile muore sotto le
bombe e di stenti.
***
(Stefano
Vaccara www.lavocedinewyork.com
Giornalista e scrittore. Nato e cresciuto in Sicilia, laurea a Siena, master a
Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America con Il Giornale di
Montanelli, America Oggi e USItalia Weekly. Dal
Palazzo di Vetro oggi racconta l’ONU dopo aver fondato e diretto La Voce di New
York dal 2013 a gennaio 2023)