Trump rivuole il cortile di casa dei Caraibi. Per ridurre l’influenza russo-cinese in Sudamerica 

di Daniele Mastrogiacomo - L'Espresso

 

Un muro di ferro e acciaio. In mare. Fatto di navi lanciamissili, sommergibili, elicotteri da combattimento, aerei spia, droni, persino una portaerei. La più grande della flotta Usa, la Uss Gerald R. Ford. Non è mai accaduto che un simile dispiegamento di mezzi e uomini (15 mila marines radunati a Puerto Rico) abbia nei fatti occupato gran parte del Mar dei Caraibi. Esiste un solo precedente: l’invasione di Panama nel dicembre del 1989 per far deporre e arrestare Manuel Oriega. L’obiettivo, o lo spunto, fu allora il traffico di droga.

 

Ora la storia si ripete. Nella sua ossessiva battaglia contro il narcotraffico, Donald Trump segue le orme dell’allora presidente Ronald Reagan. Si è ritagliato il diritto di intervenire con la forza nelle acque che appartengono al Venezuela e alla Colombia. Si contano finora 37 morti. E gli interventi sono destinati a proseguire. Lo ha ribadito il segretario alla Difesa Pete Hegseth, che ama farsi chiamare Segretario alla Guerra.

 

Gli Usa sono inondati dal fentanyl, più che dalla cocaina. E questo potente oppiaceo, realizzato con precursori chimici spediti dalla Cina, viene trasportato principalmente via terra. Da due cartelli messicani, Sinaloa e Jalisco Nueva Generación, che ne gestiscono il monopolio. Analisti e osservatori allargano lo sguardo a obiettivi più grandi: di influenza geopolitica e commerciale. Donald Trump cerca di ridurre il peso della Cina sull’intera America Latina. Distratti dalle guerre in Ucraina e a Gaza, gli Usa hanno perso terreno in quella regione che era il “cortile di casa” del secolo scorso. Pechino ne ha approfittato e ha investito. Riceve in cambio i preziosi minerali offerti dal sottosuolo andino.

 

In Perù, a Chancay ha realizzato il porto diventato l’hub marino di tutto l’emisfero Sud-Ovest (di cui L’Espresso ha scritto alla vigilia della sua apertura, nel novembre 2024). È della Cosco shipping ports e appartiene allo Stato cinese che, nei fatti, ha un’enclave in uno Stato estero. Il porto poco a Nord di Lima riduce di una decina di giorni la navigazione verso la Cina e l’Estremo Oriente e attira l’intero traffico commerciale del Nord e Sud America sul lato del Pacifico finora costretto a rotte più lunghe e dispendiose.

 

Gli Usa reagiscono e puntano sull’Argentina che con Javier Milei, fedele alleato, garantisce un importante base di appoggio. Non è un caso che proprio la scorsa settimana lo stesso Trump abbia promesso un finanziamento da 25 miliardi di dollari all’anarco-capitalista della Casa Rosada che adesso incasserà: ha stravinto lo scorso fine settimana con oltre il 40 per cento dei voti le elezioni di mid-term, quelle che rinnovavano metà del Parlamento. Era la condizione per il rilascio del prestito.

 

I nemici sono altri e su questi il capo della Casa Bianca si accanisce. Nicolás Maduro, intanto. Trump considera il presidente venezuelano un boss del narcotraffico; ha aumentato a 50 milioni di dollari la taglia per la sua cattura. Lo assedia con la sua potente flottiglia militare che incrocia davanti a Trinidad e Tobago. Minaccia di intervenire a terra, ha firmato un ordine che autorizza la Cia a condurre operazioni segrete nella Repubblica bolivariana. Il Premio Nobel per la pace 2025 assegnato a María Corina Machado ha ridato ossigeno a un’opposizione spenta e riacceso le speranze di un cambio di regime.

 

Per Mosca il Venezuela è un base importante proprio alle porte degli Stati Uniti; per Pechino un prezioso serbatoio di petrolio e gas. Il muro di acciaio sul Mar dei Caraibi è un vero incubo che può spingere parte della dirigenza venezuelana ad abbandonare Maduro favorendo un trapasso indolore.

 

C’è poi la Colombia. È guidata dal primo presidente di sinistra nella storia del Paese. Tra Donald Trump e Gustavo Petro non c’è mai stata sintonia. Anche sul traffico di droga. Il presidente colombiano punta a contrastare i cartelli, aumentando i sequestri, sia in mare sia a terra, piuttosto che accanirsi sui piccoli agricoltori con sradicamenti forzati e fumigazioni delle colture. «La lotta alla droga fallisce perché non si sequestrano i beni dei veri narcotrafficanti», spiega Petro. Donald Trump punta invece alla produzione. Accusa anche il presidente colombiano di essere un «boss del narcotraffico». Sostiene che da quando sta al governo il Paese ha raggiunto un nuovo record nella produzione di cocaina. L’ultimo rapporto Unodc (Onu), contestato da Gustavo Petro, lo conferma: parla di 3.708 tonnellate prodotte nel 2024. La Colombia ospita il 67 per cento delle coltivazioni mondiali e ha aumentato del 53 per cento la lavorazione delle foglie di coca. «Il presidente colombiano dovrebbe stare molto attento – aveva minacciato il capo della Casa Bianca – prenderemo misure molto severe contro di lui e il suo Paese».

 

Detto e fatto: lo scorso fine settimana l’ex guerrigliero eletto presidente, sua moglie, suo figlio maggiore e il ministro dell’Interno Armando Benedetti sono finiti nella lista Ofac, quella Clinton, che sanziona chiunque abbia presunti legami con il narcotraffico. A questi vengono congelati i beni negli Usa, revocati i visti d’ingresso, impediti movimenti finanziari. Ma la misura è andata oltre: alla Colombia sono stati negati i 377 milioni di dollari che erano stati stanziati dal Congresso Usa nel 2024. Gran parte servivano a rafforzare e finanziare le forze dell’ordine e di difesa. L’assedio di Trump riguarda anche Lula, con cui ci sono stati screzi e insulti per l’inchiesta e la condanna di Jair Bolsonaro. Ma Lula è anche alla guida dei Brics che adesso rappresentano i Paesi con oltre la metà del Pil mondiale. Il presidente brasiliano è legato alla Cina. Il tycoon non può affondarlo, usa bastone e carota. Un po’ minaccia, un po’ asseconda. Lo ha incontrato in Malesia, prima di volare a Pechino per il vertice con Xi Jinping. Un incontro definito «positivo». A Trump interessano soprattutto le terre rare che la Cina gli può dare. E, magari, far smettere di spedire i precursori chimici ai narcos messicani per fabbricare il fentanyl

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(Daniele Mastrogiacomo www.lespresso.it - Per anni firma di punta del quotidiano La Repubblica, ha seguito grandi vicende internazionali rischiando anche la fucilazione in Afghanistan e liberato dopo una vasta campagna giornalistica mondiale. Ora scrive per il settimanale L'Espresso)