Marsiglia non vuole arrendersi alla criminalità. E' stato raggiunto un punto critico. Resistere o andarsene 

di Grégoire Biseau e Gilles Rof - Le Monde

 

MARSIGLIA - Quando ha saputo della morte di Mehdi Kessaci, Fadella Ouidef si è chiusa nella sua camera e si è messa a piangere. Ha quattro figli e vive da 19 anni nella cité (quartiere di edilizia popolare) di Busserine, uno dei quartieri a nord di Marsiglia che devono fare i conti con il traffico di stupefacenti. Si è sempre definita una “combattente”, come la madre, “che ha lottato tutta la vita”. Ha 40 anni, è la rappresentante dei genitori degli alunni della scuola elementare del quartiere, fa parte dell’associazione Art qu’en ciel, che prepara pasti per i senza tetto, ed è amministratrice del centro sociale L’Agora, che fa da piazza del villaggio dove madri e bambini amano ritrovarsi all’uscita da scuola. Ma dopo l’uccisione del fratello minore dell’attivista Amine Kessaci, ha provato una sensazione nuova e opprimente.

 

“Qualcosa di sordo, di subdolo”, dice, in un ristorante dalle parti del Vieux-Port, vicino al negozio dove lavora. “Ora sappiamo che nessuno è al sicuro. Non smetterò di parlare, ma qualcosa mi tormenta. Sto più attenta a quello che dico”. Naturalmente ha partecipato al corteo bianco del 22 novembre, quando più di 6.200 persone si sono riunite nel luogo dell’omicidio per denunciare il narcotraffico. Non si è stupita che ci fossero pochi abitanti dei quartieri popolari. “Oggi per proteggersi anche le associazioni non vogliono più parlare. Come si fa a criticarle quando sappiamo di essere in pericolo?”. A differenza di molte delle persone che abbiamo incontrato, Fadella Ouidef ha voluto che pubblicassimo il suo nome.

 

Mehdi Kessaci è stato ucciso nel primo pomeriggio del 13 novembre su una triste rotonda del quarto arrondissement. Davanti alla farmacia, dove due uomini in moto gli hanno sparato, i fiori bianchi, depositati in massa, sono ingialliti. Il ragazzo, 20 anni, non aveva alcun legame, “né diretto né indiretto”, insiste la procura di Marsiglia, con il traffico di stupefacenti. Era il fratello minore di Amine Kessaci, 22 anni, fondatore di Conscience, un’associazione di sostegno alle famiglie vittime delle reti criminali, che è entrato in politica nel 2024 al fianco degli ecologisti, presentandosi alle elezioni europee e poi alle legislative.

 

Come per i crolli degli edifici di rue d’Aubagne, il 5 novembre 2018, che causarono otto morti e rivelarono a tutta la Francia lo scandalo delle abitazioni fatiscenti di Marsiglia, l’omicidio ha suscitato un’onda d’urto che si è diffusa in tutta la città. Nelle librerie gli abitanti sono andati a comprare, come gesto di solidarietà, il libro di Amine Kessaci, Marseille, essuie tes larmes (“Marsiglia, asciuga le tue lacrime”, Le Bruit du monde 2025), uscito il 2 ottobre e rapidamente esaurito. Ma oltre all’emozione, sono arrivate fino a Parigi anche la paura e la sensazione di pericolo.

 

Il 18 novembre, mentre gli agenti del Raid (un’unità speciale di pronto intervento della polizia) sorvegliavano il funerale di Mehdi a Marsiglia, il presidente francese Emmanuel Macron chiedeva, durante una riunione di governo, la protezione di varie persone: l’ex sottosegretaria del ministero per le città (2023-2024) Sabrina Agresti-Roubache; lo scrittore-giornalista Philippe Pujol, autore di La fabrique du monstre (Les Arènes) nel 2016 e, quasi dieci anni dopo, di Cramés (Julliard, 2024), che racconta la storia dei piccoli spacciatori; e alcuni magistrati come il procuratore della repubblica a Marsiglia, Nicolas Bessone. Inoltre si è parlato anche di un eventuale trasferimento della famiglia Kessaci.

 

Due settimane dopo i fatti, nel suo ufficio al quinto piano del tribunale, il procuratore di Marsiglia ha invitato a relativizzare la minaccia di una “deriva palermitana”, che sul territorio farebbe regnare un clima di omicidi e di omertà: “Bisogna impedire che la società civile e le associazioni si censurino. È molto importante”. Tuttavia all’indomani dell’omicidio, il procuratore capo era stato il primo a suscitare inquietudine evocando l’ipotesi di un “omicidio di avvertimento”. Un’idea condivisa dal ministro dell’interno Laurent Nuñez, che ha parlato di un “crimine intimidatorio”.

 

Secondo l’ex prefetto di polizia delle Bouches-du-Rhône è stato raggiunto un “punto critico”. A dire il vero, è da tempo che chiunque abbia a che fare con il traffico di droga a Marsiglia ha già raggiunto un personale punto critico. “Quando si spara in una cité per far paura, quando si uccidono persone che non hanno nulla a che fare con lo spaccio, non siamo già di fronte a un’intimidazione?”, si chiede Samia Ghali, ex senatrice socialista e attuale vicesindaca. Per questa politica eletta nei quartieri nord (i più difficili della città), pioniera nella denuncia del narcotraffico, il punto critico risale alla presidenza di Nicolas Sarkozy, tra il 2007 e il 2012, quando polizia e gendarmeria hanno perso quasi novemila agenti sul territorio nazionale: “Nei quartieri non si vedeva più un poliziotto. Abbiamo lasciato diffondere lo spaccio, che aveva il denaro e i mezzi per svilupparsi”.

 

Il punto critico di Laurence Bellon, ex presidente del tribunale per i minori di Marsiglia, è ancora vivo nella sua memoria. Nel 2020, durante un’udienza, aveva chiesto a un ragazzo di 14 anni di togliersi la maglietta, scoprendo una schiena interamente coperta di cicatrici. “In quel momento mi sono resa conto che i trafficanti arrivano letteralmente a torturare i bambini”, ha spiegato Bellon, che per prima ha teorizzato l’applicazione del concetto di tratta degli esseri umani al traffico di stupefacenti.

 

Le vedette

 

Per Inès Ben Moussa, 32 anni, e Nathalie Traimond, 44 anni, le due responsabili delle squadre di mediazione sociale dell’associazione Dunes nei quartieri nord, la svolta si colloca nel 2023. L’anno in cui il traffico ha fatto quasi una vittima a settimana. “L’abbiamo vissuto in prima linea. Omicidi in tutte le cité dove eravamo presenti. Ragazzi, famiglie che conoscevamo. In certi quartieri la situazione era così tesa, che rimanevamo solo dalle otto alle dieci del mattino”, racconta Inès Ben Moussa. “E all’epoca non c’era molta gente nei cortei bianchi”.

 

Anche questa mediatrice ha pianto, quando ha saputo dell’uccisione di Mehdi Kessaci. Per la vittima, ma anche per suo fratello Amine. “Quello che ha fatto Amine a Marsiglia, sono in pochi ad averlo fatto. Quando c’era un omicidio, potevo chiamarlo alle undici di sera e lui arrivava. Senza telecamere, senza niente, e parlava alle madri. Per molte persone è stata una presenza costante. Ed è stato bello che molte persone siano venute per lui sabato”, confida Inès Ben Moussa.

 

Nel quindicesimo arrondissement il quartier generale di Dunes occupa un ex appartamento al piano terra di un piccolo edificio di case popolari. Intorno, i grandi palazzi sono tutti più o meno interessati dal traffico, dal degrado, dalla precarietà. Per bere un caffè c’è solo il piccolo alimentari all’ingresso della cité Consolat, dove si aggirano le vedette dello spaccio. In lontananza un “Araaah”, il grido d’allarme delle “sentinelle”, risuona senza che nessuno ci faccia molta attenzione. “La prima consegna che diamo ai nostri mediatori è di non immischiarsi in questi traffici. Noi siamo qui per aiutare gli abitanti”, ricorda Nathalie Traimond presente al Dunes dal 2019. “Ma quando un ragazzino ci dice che vuole uscirne, ce ne occupiamo. Nel 2023 ne abbiamo aiutati sette”, prosegue la collega Inès. Paradossalmente, prima dell’omicidio di Mehdi Kessaci, queste donne, come altri operatori sul campo, avevano la sensazione di un “clima più sereno”. “Meno punti di spaccio, meno tensioni”, assicura Nathalie.

 

Da una cinquantina nel 2023, il numero di omicidi legati alla droga a Marsiglia è sceso a 24 nel 2024 e a una quindicina dal gennaio 2025. Quasi duemila persone sono finite sotto processo e circa novecento in prigione per casi legati agli stupefacenti, ricorda la procura di Marsiglia. Le operazioni “Place nette” XXL (Piazza pulita XXL), lanciate nel marzo 2024 a Marsiglia con grande clamore da Emmanuel Macron e Gérald Darmanin, all’epoca ministro dell’interno, hanno portato a una riduzione di quasi la metà dei “forni” (i punti di spaccio), che oggi si stima siano ottanta. E alcuni posti, come la Paternelle, sembrano oggi tornati tranquilli. Ma in altre cité, in particolare alla Castellane, dove il presidente della repubblica era stato in visita, i narcotrafficanti controllano ancora gli accessi. Nove punti di spaccio, che la polizia smantella regolarmente, sono stati aperti nel centro del quartiere. Si adattano di continuo alle strategie delle forze dell’ordine.

 

Rinnovamento urbano

 

Difficile dire se la situazione alla Busserine sia migliorata o meno. In ogni caso, lo spaccio è sempre ben presente. Di fronte a una scuola elementare e a una materna, una vedetta vigila. Il punto di spaccio è appena un po’ più in alto, a cinquanta metri, nel cuore della cité. Lì, intorno a un braciere, giovani incappucciati aspettano i clienti dalle dieci a mezzanotte. Si vendono erba, hashish, cocaina. I genitori degli alunni fanno finta di niente. “Certo che abbiamo paura”, osserva un papà, che aspetta il figlio di sette anni all’uscita da scuola. “I trafficanti gestiscono gli ingressi dei palazzi. Ogni cento metri c’è una vedetta. Non c’è più niente da fare, sono tanti e hanno tanti soldi. Sono più forti”.

 

È da poco più di un anno che abita nel quartiere, trasformato da un ambizioso programma di rinnovamento urbano. La scuola è stata interamente rifatta poco meno di dieci anni fa. Uno dei segretari dipartimentali del sindacato degli insegnanti Snuipp-Fsu, Sébastien Fournier ci lavora dal 2002. Non ha mai voluto andarsene, tanto che oggi insegna ai figli dei suoi primi alunni. “Qui la squadra è davvero fantastica. Abbiamo pochissimo turnover”, assicura. Da quindici anni il dirigente è sempre lo stesso.

 

E le battaglie non sono certo mancate. I mesi dopo il periodo del covid-19 sono stati tra i più difficili. All’epoca gli spacciatori si erano piazzati letteralmente davanti alla scuola. “Abbiamo cercato di farli andare via con tutti i mezzi, ma avevano l’ordine di non parlarci”, ricorda Fournier. In quell’occasione gli insegnanti hanno scoperto un fenomeno, che poi si è generalizzato in tutta la città: il punto di vendita non è gestito da adolescenti della Busserine, ma da giovani provenienti da altri quartieri di Marsiglia o addirittura dal resto della Francia, reclutati sui social media. Dopo vari mesi, si sono spostati un po’ più lontano.

 

Oggi Fadella Ouidef spiega di aver dovuto imparare a convivere con questa minaccia permanente. “In tre giorni la situazione può cambiare completamente. A volte il clima è teso, poi si calma, per si ricomincia senza che si capisca bene il perché”. Ci dice che il suo incubo è trovare un giorno suo figlio, che oggi ha 9 anni, mentre charbonne (cioè gestisce un punto di spaccio) in un altro quartiere di Marsiglia. Così si fa forza e lascia che attraversi il quartiere in monopattino la sera per andare a giocare a calcio. “Ma sa a chi può parlare e a chi non deve assolutamente parlare”.

 

Andarsene o resistere

 

A un centinaio di metri dalla scuola, due ragazze spingono un mobile da cucina sul marciapiede. Soraya, 27 anni, sta traslocando nell’ex appartamento della nonna morta di recente. È sposata e madre di una bambina di un mese, ha vissuto alla Busserine, prima di andarsene in centro città per i suoi studi. Ma oggi torna e pensa di far crescere qui la bambina. Almeno per un po’ di tempo. “È vero, c’è lo spaccio, ma basta mantenere le distanze. E poi c’è una vera vita di quartiere con molte associazioni. Ci facciamo forza insieme”, dice con un sorriso.

 

Sua cugina Dounia, 24 anni, assistente sanitaria, è più prudente: “Quando sparano, comunque, fa paura”. Ma entrambe sono d’accordo nel dire che la ristrutturazione del quartiere è un successo. Dal balcone del suo appartamento, Soraya domina L’Agora, il centro sociale, rifatto a nuovo davanti a una grande piazza dove giocano dei bambini. “Due volte a settimana, c’è una lezione di pilates con la musica organizzata per tutte le mamme del quartiere. È come un paese”.

 

Bisogna rassegnarsi a vivere e lavorare accanto a un punto di spaccio o abbandonare il quartiere, per mettersi al sicuro? Da qualche mese a Marsiglia gli scioperi si succedono. Ai Flamants, una grande cité del quattordicesimo arrondissement vicina alla Busserine, anche questa oggetto di un interminabile programma di rinnovamento urbano, i cassonetti bloccano l’accesso al parcheggio. La criminalità controlla parte degli ingressi.

 

Una pressione quotidiana che ha spinto le équipe della Maison de la solidarité (Mds), una struttura sociale del consiglio dipartimentale delle Bouches-du-Rhône, a mettersi in sciopero il 13 ottobre e a manifestare. “Il 6 novembre gli spacciatori sono venuti a dire alle operatrici di calmarsi. Di non attirare l’attenzione dei giornali”, racconta Valérie Marque, delegata della Cgt, storico grande sindacato di sinistra, che segue la mobilitazione. Da allora le dipendenti dell’Mds hanno deciso di non presentarsi più al lavoro. E gli abitanti di tutto l’arrondissement, venuti a firmare per ricevere il loro reddito di solidarietà (un sussidio economico) o a prendere appuntamento con un’assistente sociale, si trovano davanti alle porte chiuse.

 

Intanto sulla piccola piazza, altre strutture aperte al pubblico continuano a fare il loro lavoro. La scuola per infermieri accoglie ancora i suoi studenti. E il centro sociale, proprio di fronte alla Mds, prosegue le sue attività. “La criminalità? Ha i suoi luoghi, noi i nostri”, liquida la questione la vicedirettrice. Nel quartiere da venticinque anni, questa donna minuta che parla molto velocemente preferisce mettere in evidenza i “legami molto, molto forti con gli abitanti”.

 

Dice di non essere mai stata “disturbata”, di sentirsi al sicuro. Poi ridendo mostra le finestre dietro di lei: “Sono tutte blindate. Non lasciano passare i proiettili”. Per lei, lo sciopero dell’Mds è comprensibile ma “molto triste”: “Lo viviamo con difficoltà, perché condiziona l’aiuto sociale per molte famiglie. Speriamo che una parte delle operatrici torni”. Il 27 novembre, dopo una riunione, la prefettura di polizia, le collettività e gli operatori del quartiere si sono dati tre settimane per convincere le dipendenti dell’Mds a tornare al lavoro.

 

Scontro frontale

 

Il 28 novembre, la responsabile della polizia Corinne Simon ha dovuto gestire un caso simile. Il principale sito dell’operatore telefonico Orange a Marsiglia, nel quartiere di Saint-Mauront (terzo arrondissement), ha chiuso i battenti per una quindicina di giorni. La colpa, secondo il sindacato Cfdt, del “rapido e continuo degrado della situazione legata a un narcotraffico incontrollato”.

“In tre giorni i 1.200 dipendenti sono stati confinati tre volte per ragioni di sicurezza”, precisa il delegato sindacale Laurent Bedrossian. L’omicidio di Mehdi Kessaci, ammette Bedrossian, ha “inconsciamente abbassato la soglia generale di tolleranza”. Risse, inseguimenti e perfino spari sono stati segnalati in zona.

“Finora nessun fatto conferma la teoria di uno scontro tra bande rivali per il controllo di un edificio”, ha fatto sapere la Simon, che assicura di “non minimizzare” la situazione.

 

Per resistere al traffico, c’è chi invece corre il rischio di andare allo scontro frontale. Ai margini dell’autostrada A50 in direzione di Aubagne, la cité Bel-Ombre è stata costruita alla metà degli anni sessanta, un immenso blocco di cemento di 16 piani con 250 alloggi. Dal 2023 questo edificio di abitazioni degradato, come ce ne sono tanti a Marsiglia, è posto sotto la gestione di un amministratore giudiziario. Le facciate cadono quasi a pezzi, le scale sono sfondate e degli otto ascensori, solo uno funziona.

 

All’inizio di luglio, approfittando di una grata che non si chiudeva più da mesi, è stato avviato un punto di spaccio ai piedi dell’edificio. “Abbiamo visto subito che era molto bene organizzato. C’erano vedette posizionate in diversi punti, che avevano perfino un servizio di consegna dei pasti”, ricorda Mourad che, come gli altri abitanti, non ha voluto dare il suo cognome. La reazione della cité è stata quasi immediata. “La polizia non si è presentata, allora siamo scesi in quaranta e gli abbiamo chiesto di andarsene”, sorride Rachid, cinquantenne, cappellino in testa, che è nato qui e da allora non ha più lasciato l’edificio. Nessuno ha avuto paura? “Era come se fossero entrati nelle nostre case, non ci siamo fatti troppe domande”.

 

Il braccio di ferro è durato giorni, ma gli spacciatori alla fine se ne sono andati. E per tutta l’estate gli abitanti hanno organizzato delle ronde per evitare che tornassero. Ancora oggi sono attenti. “Bisogna dare l’impressione di controllare il terreno, che c’è sempre movimento, anche di notte”, sostiene Mourad, all’ingresso della portineria dove il collettivo si riunisce ogni sera.

 

Da questo scontro, gli abitanti hanno tratto un insegnamento: “Il degrado del palazzo è stato il primo passo che ha portato alla comparsa del punto di spaccio”, assicura Rachid. L’episodio ha anche permesso di assistere a uno slancio di solidarietà tra gli abitanti. Vari gruppi WhatsApp sono stati creati, è nata un’associazione (Préservons Bel-Ombre), a cui hanno aderito più di 120 proprietari. “Questo ci dà forza per cercare di salvare il nostro condominio dal disastro”.

 

Le estorsioni

 

Nel 2024 dopo che la DZ Mafia ha avuto la meglio quasi definitivamente sul clan rivale Yoda è seguita una calma apparente. Politici locali, poliziotti, magistrati, mediatori sociali fanno oggi la stessa constatazione: il mondo criminale si diversifica e Marsiglia conosce da mesi un’inquietante crescita dell’estorsione ai danni di persone più o meno note, ma soprattutto di attività commerciali, ristoranti e locali notturni. È una prima intrusione nel mondo dell’economia reale che fa temere a Philippe Albrand, per quindici anni a capo della brigata anticriminalità di Marsiglia, l’apertura di un nuovo fronte: una guerra territoriale tra la DZ Mafia e la criminalità storica corso-marsigliese. “Non si vede ancora sul terreno, ma facciamo molta attenzione”, conferma Nicolas Bessone, il procuratore di Marsiglia.

 

Il racket ha trasformato in un inferno i giorni e le notti di Kamel (nome di fantasia). La piccola casa che questo artigiano di 60 anni abita da sempre, in un quartiere tranquillo del tredicesimo arrondissement, era il suo paradiso. Nel giardino fa crescere rare specie di melograni, dei frutti venuti dall’oriente. Oggi non vede altra soluzione che abbandonare tutto. Tratti tirati, viso disfatto, racconta la sua storia tremando. Il figlio (non vuole che il suo nome venga pubblicato), un influencer di successo, ha finito per attirare l’attenzione di vecchi compagni di classe “vicini alla DZ Mafia”, spiega Kamel.

 

Un primo malavitoso è venuto in piena notte nel novembre 2023 pretendendo 40mila euro e solo l’intervento della polizia lo ha fatto fuggire. Ma il 21 giugno 2024 un gruppo di tre uomini ha rapito il figlio di Kamel alla Belle-de-Mai (terzo arrondissement), costringendolo a sborsare tutto il denaro che teneva in casa, “molto più della prima volta”, dice vagamente Kamel. Poi il gruppo lo ha portato fino alla cité de la Castellane, per fargli una proposta: promuovere tra le sue migliaia di follower le attività legali dell’organizzazione criminale.

 

Sui tre aggressori denunciati dal figlio, uno è stato condannato a cinque anni di prigione per una vicenda di violenze aggravate, un altro è in carcere in attesa di giudizio. A settembre, sul cancello metallico del suo giardino, Kamel ha scoperto un bigliettino scritto a mano attaccato con il nastro adesivo. “Lascio a tuo figlio 48 ore per sborsare quello che mi deve. Altrimenti verrò a bruciarti la casa mentre dormi”.

 

Kamel sospira: “E ora che faccio? La polizia mi dice che non può proteggere tutte le persone che ricevono minacce”. Lo sguardo perso nel vuoto, evoca le cure che riceve dal 2023 per stress post-traumatico al centro psichiatrico dell’ospedale della Conception e l’idea straziante di lasciare la casa di famiglia.

 

Suo figlio non vive più in Francia dall’estate 2024. Ha chiuso tutti i gli account sui social media ed è diventato il manager di altri influencer. Non ha nessun dubbio: l’estorsione che ha subito porta la firma della DZ Mafia. Raggiunto a Dubai dove si è trasferito, spiega: “Non mi faccio più vedere, ma cercano ancora di entrare in contatto con me. Mi hanno perfino chiamato dalla prigione per farmi pagare le loro spese legali”. Un fenomeno sempre più diffuso. “Nel 2024 a Marsiglia il racket ha colpito un po’ tutti, rapper, artisti, influencer. E tutti quelli che sono rimasti hanno dovuto pagare”.

 

Quindici grammi

 

L’altra grande novità è che la presenza della criminalità nella vita dei quartieri è in crescita: finanzia le colonie di vacanza per i più piccoli, porta la spesa agli anziani, sostiene associazioni influenti. “Comprano gli abitanti dicendo che, al contrario dello stato, sono al loro fianco. È triste dirlo, ma investono nel sociale”, analizza Nasser Hedjazi, operatore socio-giudiziario presso l’Associazione di politica criminale applicata e di integrazione sociale, che lavora per il tribunale di Marsiglia. Come la quasi totalità degli operatori presenti sul terreno avverte che, anche se la risposta penale e di polizia è indispensabile, da sola non può bastare. “Bisogna che i poteri pubblici prendano la dimensione sociale ed economica del fenomeno e investano largamente nella prevenzione”.

 

Educatore presso la protezione giudiziaria della gioventù, Mattias Perrin, uno dei segretari regionali del Sindacato nazionale del personale educativo e sociale, dice la stessa cosa: “Dopo la morte di Mehdi Kessaci, solo i ministri dell’interno e della giustizia sono venuti a Marsiglia. Avremmo voluto vedere anche quelli dell’istruzione, della città, degli alloggi e della sanità. Senza una partecipazione più vasta sarà difficile combattere questo fenomeno”.

 

Nel frattempo la polizia si attiva, a volte, per riprendere l’espressione di Philippe Albrand, dando la sensazione di “voler svuotare il mare con un cucchiaino”. Il 27 novembre, alle 15.15 in punto, un convoglio di quattro furgoni della “forza di primo intervento” della polizia, specializzata nelle violenze urbane e nel traffico di stupefacenti, sfreccia a sirene spiegate in direzione del punto di spaccio dei Flamants.

 

In pochi secondi, gli agenti, una trentina, si schierano ai quattro angoli della cité. Gli abitanti vengono controllati. Le scale e le cantine ispezionate. I cani poliziotti salgono per i piani. Si scopre un monolocale probabilmente occupato abusivamente. Gli occupanti sono scappati lasciando la chiave sulla porta. All’interno tutto è sporco, un materasso è steso direttamente sul pavimento, un cartone di pizza troneggia su un tavolo di formica, e per terra ci sono una quindicina di bombole di protossido d’azoto, il gas esilarante.

 

Sono quasi le cinque quando i poliziotti risalgono nei loro furgoni. Bilancio dell’operazione: un minuscolo sacchetto di quindici grammi di marijuana trovato in un cespuglio. “Sarei un bugiardo se vi dicessi che non torneranno stasera”, ammette un agente. “È così, dobbiamo continuare a dargli fastidio, altrimenti sarebbe peggio”.

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(Grégoire Biseau e Gilles Rof - Le Monde -Traduzione di Andrea De Ritis per "Internazionale")