Marsiglia
non vuole arrendersi alla criminalità. E' stato
raggiunto un punto critico. Resistere o andarsene
di
Grégoire Biseau e Gilles Rof
- Le Monde
MARSIGLIA -
Quando ha saputo della morte di Mehdi Kessaci, Fadella Ouidef si è chiusa nella
sua camera e si è messa a piangere. Ha quattro figli e vive da 19 anni nella cité (quartiere di edilizia popolare) di Busserine, uno dei quartieri a nord di Marsiglia che devono
fare i conti con il traffico di stupefacenti. Si è sempre definita una
“combattente”, come la madre, “che ha lottato tutta la vita”. Ha 40 anni, è la
rappresentante dei genitori degli alunni della scuola elementare del quartiere,
fa parte dell’associazione Art qu’en ciel, che
prepara pasti per i senza tetto, ed è amministratrice del centro sociale
L’Agora, che fa da piazza del villaggio dove madri e bambini amano ritrovarsi
all’uscita da scuola. Ma dopo l’uccisione del fratello minore dell’attivista
Amine Kessaci, ha provato una sensazione nuova e
opprimente.
“Qualcosa di
sordo, di subdolo”, dice, in un ristorante dalle parti del Vieux-Port,
vicino al negozio dove lavora. “Ora sappiamo che nessuno è al sicuro. Non
smetterò di parlare, ma qualcosa mi tormenta. Sto più attenta a quello che
dico”. Naturalmente ha partecipato al corteo bianco del 22 novembre, quando più
di 6.200 persone si sono riunite nel luogo dell’omicidio per denunciare il
narcotraffico. Non si è stupita che ci fossero pochi abitanti dei quartieri
popolari. “Oggi per proteggersi anche le associazioni non vogliono più parlare.
Come si fa a criticarle quando sappiamo di essere in pericolo?”. A differenza
di molte delle persone che abbiamo incontrato, Fadella
Ouidef ha voluto che pubblicassimo il suo nome.
Mehdi Kessaci è stato ucciso nel primo pomeriggio del 13 novembre
su una triste rotonda del quarto arrondissement. Davanti alla farmacia, dove
due uomini in moto gli hanno sparato, i fiori bianchi, depositati in massa,
sono ingialliti. Il ragazzo, 20 anni, non aveva alcun legame, “né diretto né
indiretto”, insiste la procura di Marsiglia, con il traffico di stupefacenti.
Era il fratello minore di Amine Kessaci, 22 anni,
fondatore di Conscience, un’associazione di sostegno
alle famiglie vittime delle reti criminali, che è entrato in politica nel 2024
al fianco degli ecologisti, presentandosi alle elezioni europee e poi alle
legislative.
Come per i
crolli degli edifici di rue d’Aubagne, il 5 novembre 2018, che causarono otto
morti e rivelarono a tutta la Francia lo scandalo delle abitazioni fatiscenti
di Marsiglia, l’omicidio ha suscitato un’onda d’urto che si è diffusa in tutta
la città. Nelle librerie gli abitanti sono andati a comprare, come gesto di
solidarietà, il libro di Amine Kessaci, Marseille, essuie tes larmes
(“Marsiglia, asciuga le tue lacrime”, Le Bruit du monde 2025), uscito il 2 ottobre e rapidamente esaurito.
Ma oltre all’emozione, sono arrivate fino a Parigi anche la paura e la
sensazione di pericolo.
Il 18
novembre, mentre gli agenti del Raid (un’unità speciale di pronto intervento
della polizia) sorvegliavano il funerale di Mehdi a Marsiglia, il presidente
francese Emmanuel Macron chiedeva, durante una riunione di governo, la
protezione di varie persone: l’ex sottosegretaria del ministero per le città
(2023-2024) Sabrina Agresti-Roubache; lo
scrittore-giornalista Philippe Pujol, autore di La fabrique
du monstre (Les Arènes) nel 2016 e, quasi dieci anni dopo, di Cramés (Julliard, 2024), che racconta la storia dei piccoli
spacciatori; e alcuni magistrati come il procuratore della repubblica a
Marsiglia, Nicolas Bessone. Inoltre si è parlato anche
di un eventuale trasferimento della famiglia Kessaci.
Due settimane
dopo i fatti, nel suo ufficio al quinto piano del tribunale, il procuratore di
Marsiglia ha invitato a relativizzare la minaccia di una “deriva palermitana”,
che sul territorio farebbe regnare un clima di omicidi e di omertà: “Bisogna
impedire che la società civile e le associazioni si censurino. È molto
importante”. Tuttavia all’indomani dell’omicidio, il
procuratore capo era stato il primo a suscitare inquietudine evocando l’ipotesi
di un “omicidio di avvertimento”. Un’idea condivisa dal ministro dell’interno
Laurent Nuñez, che ha parlato di un “crimine intimidatorio”.
Secondo l’ex
prefetto di polizia delle Bouches-du-Rhône
è stato raggiunto un “punto critico”. A dire il vero, è da tempo che chiunque
abbia a che fare con il traffico di droga a Marsiglia ha già raggiunto un
personale punto critico. “Quando si spara in una cité
per far paura, quando si uccidono persone che non hanno nulla a che fare con lo
spaccio, non siamo già di fronte a un’intimidazione?”, si chiede Samia Ghali,
ex senatrice socialista e attuale vicesindaca. Per questa politica eletta nei
quartieri nord (i più difficili della città), pioniera nella denuncia del
narcotraffico, il punto critico risale alla presidenza di Nicolas Sarkozy, tra
il 2007 e il 2012, quando polizia e gendarmeria hanno perso quasi novemila
agenti sul territorio nazionale: “Nei quartieri non si vedeva più un
poliziotto. Abbiamo lasciato diffondere lo spaccio, che aveva il denaro e i
mezzi per svilupparsi”.
Il punto
critico di Laurence Bellon, ex presidente del tribunale per i minori di
Marsiglia, è ancora vivo nella sua memoria. Nel 2020, durante un’udienza, aveva
chiesto a un ragazzo di 14 anni di togliersi la maglietta, scoprendo una
schiena interamente coperta di cicatrici. “In quel momento mi sono resa conto
che i trafficanti arrivano letteralmente a torturare i bambini”, ha spiegato
Bellon, che per prima ha teorizzato l’applicazione del concetto di tratta degli
esseri umani al traffico di stupefacenti.
Le vedette
Per Inès Ben
Moussa, 32 anni, e Nathalie Traimond, 44 anni, le due
responsabili delle squadre di mediazione sociale dell’associazione Dunes nei quartieri nord, la svolta si colloca nel 2023.
L’anno in cui il traffico ha fatto quasi una vittima a settimana. “L’abbiamo
vissuto in prima linea. Omicidi in tutte le cité dove
eravamo presenti. Ragazzi, famiglie che conoscevamo. In certi quartieri la
situazione era così tesa, che rimanevamo solo dalle otto alle dieci del
mattino”, racconta Inès Ben Moussa. “E all’epoca non c’era molta gente nei
cortei bianchi”.
Anche questa
mediatrice ha pianto, quando ha saputo dell’uccisione di Mehdi Kessaci. Per la vittima, ma anche per suo fratello Amine.
“Quello che ha fatto Amine a Marsiglia, sono in pochi ad averlo fatto. Quando
c’era un omicidio, potevo chiamarlo alle undici di sera e lui arrivava. Senza
telecamere, senza niente, e parlava alle madri. Per molte persone è stata una
presenza costante. Ed è stato bello che molte persone siano venute per lui
sabato”, confida Inès Ben Moussa.
Nel
quindicesimo arrondissement il quartier generale di Dunes
occupa un ex appartamento al piano terra di un piccolo edificio di case
popolari. Intorno, i grandi palazzi sono tutti più o meno interessati dal
traffico, dal degrado, dalla precarietà. Per bere un caffè c’è solo il piccolo
alimentari all’ingresso della cité Consolat, dove si aggirano le vedette dello spaccio. In
lontananza un “Araaah”, il grido d’allarme delle
“sentinelle”, risuona senza che nessuno ci faccia molta attenzione. “La prima
consegna che diamo ai nostri mediatori è di non immischiarsi in questi
traffici. Noi siamo qui per aiutare gli abitanti”, ricorda Nathalie Traimond presente al Dunes dal
2019. “Ma quando un ragazzino ci dice che vuole uscirne, ce ne occupiamo. Nel
2023 ne abbiamo aiutati sette”, prosegue la collega Inès. Paradossalmente,
prima dell’omicidio di Mehdi Kessaci, queste donne,
come altri operatori sul campo, avevano la sensazione di un “clima più sereno”.
“Meno punti di spaccio, meno tensioni”, assicura Nathalie.
Da una
cinquantina nel 2023, il numero di omicidi legati alla droga a Marsiglia è
sceso a 24 nel 2024 e a una quindicina dal gennaio 2025. Quasi duemila persone
sono finite sotto processo e circa novecento in prigione per casi legati agli
stupefacenti, ricorda la procura di Marsiglia. Le operazioni “Place nette” XXL
(Piazza pulita XXL), lanciate nel marzo 2024 a Marsiglia con grande clamore da
Emmanuel Macron e Gérald Darmanin,
all’epoca ministro dell’interno, hanno portato a una riduzione di quasi la metà
dei “forni” (i punti di spaccio), che oggi si stima siano ottanta. E alcuni
posti, come la Paternelle, sembrano oggi tornati
tranquilli. Ma in altre cité, in particolare alla
Castellane, dove il presidente della repubblica era stato in visita, i
narcotrafficanti controllano ancora gli accessi. Nove punti di spaccio, che la
polizia smantella regolarmente, sono stati aperti nel centro del quartiere. Si
adattano di continuo alle strategie delle forze dell’ordine.
Rinnovamento
urbano
Difficile dire
se la situazione alla Busserine sia migliorata o
meno. In ogni caso, lo spaccio è sempre ben presente. Di fronte a una scuola
elementare e a una materna, una vedetta vigila. Il punto di spaccio è appena un
po’ più in alto, a cinquanta metri, nel cuore della cité.
Lì, intorno a un braciere, giovani incappucciati aspettano i clienti dalle
dieci a mezzanotte. Si vendono erba, hashish, cocaina. I genitori degli alunni
fanno finta di niente. “Certo che abbiamo paura”, osserva un papà, che aspetta il
figlio di sette anni all’uscita da scuola. “I trafficanti gestiscono gli
ingressi dei palazzi. Ogni cento metri c’è una vedetta. Non c’è più niente da
fare, sono tanti e hanno tanti soldi. Sono più forti”.
È da poco più
di un anno che abita nel quartiere, trasformato da un ambizioso programma di
rinnovamento urbano. La scuola è stata interamente rifatta poco meno di dieci
anni fa. Uno dei segretari dipartimentali del sindacato degli insegnanti Snuipp-Fsu, Sébastien Fournier ci lavora dal 2002. Non ha
mai voluto andarsene, tanto che oggi insegna ai figli dei suoi primi alunni.
“Qui la squadra è davvero fantastica. Abbiamo pochissimo turnover”, assicura.
Da quindici anni il dirigente è sempre lo stesso.
E le battaglie
non sono certo mancate. I mesi dopo il periodo del covid-19 sono stati tra i
più difficili. All’epoca gli spacciatori si erano piazzati letteralmente
davanti alla scuola. “Abbiamo cercato di farli andare via con tutti i mezzi, ma
avevano l’ordine di non parlarci”, ricorda Fournier. In quell’occasione gli
insegnanti hanno scoperto un fenomeno, che poi si è generalizzato in tutta la
città: il punto di vendita non è gestito da adolescenti della Busserine, ma da giovani provenienti da altri quartieri di
Marsiglia o addirittura dal resto della Francia, reclutati sui social media.
Dopo vari mesi, si sono spostati un po’ più lontano.
Oggi Fadella Ouidef spiega di aver
dovuto imparare a convivere con questa minaccia permanente. “In tre giorni la
situazione può cambiare completamente. A volte il clima è teso, poi si calma,
per si ricomincia senza che si capisca bene il perché”. Ci dice che il suo
incubo è trovare un giorno suo figlio, che oggi ha 9
anni, mentre charbonne (cioè
gestisce un punto di spaccio) in un altro quartiere di Marsiglia. Così si fa
forza e lascia che attraversi il quartiere in monopattino la sera per andare a
giocare a calcio. “Ma sa a chi può parlare e a chi non deve assolutamente
parlare”.
Andarsene o
resistere
A un centinaio
di metri dalla scuola, due ragazze spingono un mobile da cucina sul
marciapiede. Soraya, 27 anni, sta traslocando nell’ex appartamento della nonna
morta di recente. È sposata e madre di una bambina di un mese, ha vissuto alla Busserine, prima di andarsene in centro città per i suoi
studi. Ma oggi torna e pensa di far crescere qui la bambina. Almeno per un po’
di tempo. “È vero, c’è lo spaccio, ma basta mantenere le distanze. E poi c’è
una vera vita di quartiere con molte associazioni. Ci facciamo forza insieme”,
dice con un sorriso.
Sua cugina
Dounia, 24 anni, assistente sanitaria, è più prudente: “Quando sparano,
comunque, fa paura”. Ma entrambe sono d’accordo nel dire che la
ristrutturazione del quartiere è un successo. Dal balcone del suo appartamento,
Soraya domina L’Agora, il centro sociale, rifatto a nuovo davanti a una grande
piazza dove giocano dei bambini. “Due volte a settimana, c’è una lezione di
pilates con la musica organizzata per tutte le mamme del quartiere. È come un
paese”.
Bisogna
rassegnarsi a vivere e lavorare accanto a un punto di spaccio o abbandonare il
quartiere, per mettersi al sicuro? Da qualche mese a Marsiglia gli scioperi si
succedono. Ai Flamants, una grande cité del quattordicesimo arrondissement vicina alla Busserine, anche questa oggetto di un interminabile
programma di rinnovamento urbano, i cassonetti bloccano l’accesso al
parcheggio. La criminalità controlla parte degli ingressi.
Una pressione
quotidiana che ha spinto le équipe della Maison de la solidarité
(Mds), una struttura sociale del consiglio
dipartimentale delle Bouches-du-Rhône,
a mettersi in sciopero il 13 ottobre e a manifestare. “Il 6 novembre gli
spacciatori sono venuti a dire alle operatrici di calmarsi. Di non attirare
l’attenzione dei giornali”, racconta Valérie Marque,
delegata della Cgt, storico grande sindacato di
sinistra, che segue la mobilitazione. Da allora le dipendenti dell’Mds hanno deciso di non presentarsi più al lavoro. E
gli abitanti di tutto l’arrondissement, venuti a firmare per ricevere il loro
reddito di solidarietà (un sussidio economico) o a prendere appuntamento con
un’assistente sociale, si trovano davanti alle porte chiuse.
Intanto sulla
piccola piazza, altre strutture aperte al pubblico continuano a fare il loro
lavoro. La scuola per infermieri accoglie ancora i suoi studenti. E il centro
sociale, proprio di fronte alla Mds, prosegue le sue
attività. “La criminalità? Ha i suoi luoghi, noi i nostri”, liquida la
questione la vicedirettrice. Nel quartiere da venticinque anni, questa donna
minuta che parla molto velocemente preferisce mettere in evidenza i “legami
molto, molto forti con gli abitanti”.
Dice di non
essere mai stata “disturbata”, di sentirsi al sicuro. Poi ridendo mostra le
finestre dietro di lei: “Sono tutte blindate. Non lasciano passare i
proiettili”. Per lei, lo sciopero dell’Mds è
comprensibile ma “molto triste”: “Lo viviamo con difficoltà, perché condiziona
l’aiuto sociale per molte famiglie. Speriamo che una parte delle operatrici
torni”. Il 27 novembre, dopo una riunione, la prefettura di polizia, le
collettività e gli operatori del quartiere si sono dati tre settimane per
convincere le dipendenti dell’Mds a tornare al
lavoro.
Scontro
frontale
Il 28
novembre, la responsabile della polizia Corinne Simon ha dovuto gestire un caso
simile. Il principale sito dell’operatore telefonico Orange a Marsiglia, nel
quartiere di Saint-Mauront (terzo arrondissement), ha
chiuso i battenti per una quindicina di giorni. La colpa, secondo il sindacato Cfdt, del “rapido e continuo degrado della situazione
legata a un narcotraffico incontrollato”.
“In tre giorni
i 1.200 dipendenti sono stati confinati tre volte per ragioni di sicurezza”,
precisa il delegato sindacale Laurent Bedrossian.
L’omicidio di Mehdi Kessaci, ammette Bedrossian, ha “inconsciamente abbassato la soglia generale
di tolleranza”. Risse, inseguimenti e perfino spari sono stati segnalati in
zona.
“Finora nessun
fatto conferma la teoria di uno scontro tra bande rivali per il controllo di un
edificio”, ha fatto sapere la Simon, che assicura di “non minimizzare” la
situazione.
Per resistere
al traffico, c’è chi invece corre il rischio di andare allo scontro frontale.
Ai margini dell’autostrada A50 in direzione di Aubagne, la cité
Bel-Ombre è stata costruita alla metà degli anni sessanta,
un immenso blocco di cemento di 16 piani con 250 alloggi. Dal 2023 questo
edificio di abitazioni degradato, come ce ne sono tanti a Marsiglia, è posto
sotto la gestione di un amministratore giudiziario. Le facciate cadono quasi a
pezzi, le scale sono sfondate e degli otto ascensori, solo uno funziona.
All’inizio di
luglio, approfittando di una grata che non si chiudeva più da mesi, è stato
avviato un punto di spaccio ai piedi dell’edificio. “Abbiamo visto subito che
era molto bene organizzato. C’erano vedette posizionate in diversi punti, che
avevano perfino un servizio di consegna dei pasti”, ricorda Mourad che, come
gli altri abitanti, non ha voluto dare il suo cognome. La reazione della cité è stata quasi immediata. “La polizia non si è
presentata, allora siamo scesi in quaranta e gli abbiamo chiesto di andarsene”,
sorride Rachid, cinquantenne, cappellino in testa, che è nato qui e da allora
non ha più lasciato l’edificio. Nessuno ha avuto paura? “Era come se fossero
entrati nelle nostre case, non ci siamo fatti troppe domande”.
Il braccio di
ferro è durato giorni, ma gli spacciatori alla fine se ne sono andati. E per
tutta l’estate gli abitanti hanno organizzato delle ronde per evitare che
tornassero. Ancora oggi sono attenti. “Bisogna dare l’impressione di
controllare il terreno, che c’è sempre movimento, anche di notte”, sostiene
Mourad, all’ingresso della portineria dove il collettivo si riunisce ogni sera.
Da questo
scontro, gli abitanti hanno tratto un insegnamento: “Il degrado del palazzo è
stato il primo passo che ha portato alla comparsa del punto di spaccio”,
assicura Rachid. L’episodio ha anche permesso di assistere a uno slancio di
solidarietà tra gli abitanti. Vari gruppi WhatsApp sono stati creati, è nata
un’associazione (Préservons Bel-Ombre), a cui hanno
aderito più di 120 proprietari. “Questo ci dà forza per cercare di salvare il
nostro condominio dal disastro”.
Le
estorsioni
Nel 2024 dopo
che la DZ Mafia ha avuto la meglio quasi definitivamente sul clan rivale Yoda è
seguita una calma apparente. Politici locali, poliziotti, magistrati, mediatori
sociali fanno oggi la stessa constatazione: il mondo criminale si diversifica e
Marsiglia conosce da mesi un’inquietante crescita dell’estorsione ai danni di
persone più o meno note, ma soprattutto di attività commerciali, ristoranti e
locali notturni. È una prima intrusione nel mondo dell’economia reale che fa
temere a Philippe Albrand, per quindici anni a capo
della brigata anticriminalità di Marsiglia, l’apertura di un nuovo fronte: una
guerra territoriale tra la DZ Mafia e la criminalità storica corso-marsigliese.
“Non si vede ancora sul terreno, ma facciamo molta attenzione”, conferma
Nicolas Bessone, il procuratore di Marsiglia.
Il racket ha
trasformato in un inferno i giorni e le notti di Kamel (nome di fantasia). La
piccola casa che questo artigiano di 60 anni abita da sempre, in un quartiere
tranquillo del tredicesimo arrondissement, era il suo paradiso. Nel giardino fa
crescere rare specie di melograni, dei frutti venuti dall’oriente. Oggi non
vede altra soluzione che abbandonare tutto. Tratti tirati, viso disfatto,
racconta la sua storia tremando. Il figlio (non vuole che il suo nome venga
pubblicato), un influencer di successo, ha finito per attirare l’attenzione di
vecchi compagni di classe “vicini alla DZ Mafia”, spiega Kamel.
Un primo
malavitoso è venuto in piena notte nel novembre 2023 pretendendo 40mila euro e
solo l’intervento della polizia lo ha fatto fuggire. Ma il 21 giugno 2024 un
gruppo di tre uomini ha rapito il figlio di Kamel alla Belle-de-Mai (terzo
arrondissement), costringendolo a sborsare tutto il denaro che teneva in casa,
“molto più della prima volta”, dice vagamente Kamel. Poi il gruppo lo ha
portato fino alla cité de la Castellane, per fargli
una proposta: promuovere tra le sue migliaia di follower le attività legali
dell’organizzazione criminale.
Sui tre
aggressori denunciati dal figlio, uno è stato condannato a cinque anni di
prigione per una vicenda di violenze aggravate, un altro è in carcere in attesa
di giudizio. A settembre, sul cancello metallico del suo giardino, Kamel ha
scoperto un bigliettino scritto a mano attaccato con il nastro adesivo. “Lascio
a tuo figlio 48 ore per sborsare quello che mi deve. Altrimenti verrò a
bruciarti la casa mentre dormi”.
Kamel sospira:
“E ora che faccio? La polizia mi dice che non può proteggere tutte le persone
che ricevono minacce”. Lo sguardo perso nel vuoto,
evoca le cure che riceve dal 2023 per stress post-traumatico al centro
psichiatrico dell’ospedale della Conception e l’idea straziante di lasciare la
casa di famiglia.
Suo figlio non
vive più in Francia dall’estate 2024. Ha chiuso tutti i gli
account sui social media ed è diventato il manager di altri influencer. Non ha
nessun dubbio: l’estorsione che ha subito porta la firma della DZ Mafia.
Raggiunto a Dubai dove si è trasferito, spiega: “Non mi faccio più vedere, ma
cercano ancora di entrare in contatto con me. Mi hanno perfino chiamato dalla
prigione per farmi pagare le loro spese legali”. Un fenomeno sempre più
diffuso. “Nel 2024 a Marsiglia il racket ha colpito un po’ tutti, rapper,
artisti, influencer. E tutti quelli che sono rimasti hanno dovuto pagare”.
Quindici
grammi
L’altra grande
novità è che la presenza della criminalità nella vita dei quartieri è in
crescita: finanzia le colonie di vacanza per i più piccoli, porta la spesa agli
anziani, sostiene associazioni influenti. “Comprano gli abitanti dicendo che,
al contrario dello stato, sono al loro fianco. È triste dirlo, ma investono nel
sociale”, analizza Nasser Hedjazi, operatore
socio-giudiziario presso l’Associazione di politica criminale applicata e di
integrazione sociale, che lavora per il tribunale di Marsiglia. Come la quasi
totalità degli operatori presenti sul terreno avverte che, anche se la risposta
penale e di polizia è indispensabile, da sola non può bastare. “Bisogna che i
poteri pubblici prendano la dimensione sociale ed economica del fenomeno e
investano largamente nella prevenzione”.
Educatore
presso la protezione giudiziaria della gioventù, Mattias Perrin, uno dei
segretari regionali del Sindacato nazionale del personale educativo e sociale,
dice la stessa cosa: “Dopo la morte di Mehdi Kessaci,
solo i ministri dell’interno e della giustizia sono venuti a Marsiglia. Avremmo
voluto vedere anche quelli dell’istruzione, della città, degli alloggi e della
sanità. Senza una partecipazione più vasta sarà difficile combattere questo
fenomeno”.
Nel
frattempo la
polizia si attiva, a volte, per riprendere l’espressione di Philippe Albrand, dando la sensazione di “voler svuotare il mare con
un cucchiaino”. Il 27 novembre, alle 15.15 in punto, un convoglio di quattro
furgoni della “forza di primo intervento” della polizia, specializzata nelle
violenze urbane e nel traffico di stupefacenti, sfreccia a sirene spiegate in
direzione del punto di spaccio dei Flamants.
In pochi
secondi, gli agenti, una trentina, si schierano ai quattro angoli della cité. Gli abitanti vengono controllati. Le scale e le
cantine ispezionate. I cani poliziotti salgono per i piani. Si scopre un
monolocale probabilmente occupato abusivamente. Gli occupanti sono scappati
lasciando la chiave sulla porta. All’interno tutto è sporco, un materasso è
steso direttamente sul pavimento, un cartone di pizza troneggia su un tavolo di
formica, e per terra ci sono una quindicina di bombole di protossido d’azoto,
il gas esilarante.
Sono quasi le
cinque quando i poliziotti risalgono nei loro furgoni. Bilancio
dell’operazione: un minuscolo sacchetto di quindici grammi di marijuana trovato
in un cespuglio. “Sarei un bugiardo se vi dicessi che non torneranno stasera”,
ammette un agente. “È così, dobbiamo continuare a dargli fastidio, altrimenti
sarebbe peggio”.
***
(Grégoire Biseau e Gilles Rof - Le Monde -Traduzione
di Andrea De Ritis per "Internazionale")