PROTAGONISTA
DELLA FINANZA MILANESE
Francesco Micheli il capitalista riluttante.
"Sono stato il grillo parlante del potere"
di Maria Luisa Agnese -
Corriere della Sera -7
MILANO - Spesso con i libri nuovi si comincia
dalla fine, andando subito a leggere i ringraziamenti per vedere come l’autore
se l’è cavata con famiglia e amici. Un piccolo gioco di società che a farlo con
il nuovo libro di Francesco Micheli, ''Il capitalista riluttante'' (edizioni
Solferino), dà grande soddisfazione.
Perché Micheli, finanziere, musicofilo, bon
vivant, arrivato a scrivere della sua vita a 87 anni, di amici e compagni di
strada da onorare ne aveva tanti e difatti ha compilato una sua lista che sfida
quella di Don Giovanni e le sue donne, anche se questa si ferma prima delle
celebri 1003. I suoi sono oltre 250 grazie, distribuiti fra familiari,
conoscenti, compagni di scuola, rivali, politici, chef, amici, amiche, grandi
vecchi: insomma si capisce anche da lì che nel libro Micheli ci racconta la sua
fotografia del Novecento (con il «contributo appassionato» di Emanuela Minnai).
Si parte dai protagonisti di ieri, Mattioli,
Cuccia, Cefis, si passa attraverso le sue scalate, Bi-Invest e Fondiaria (da
cui il commento di Gianni Agnelli «Bi-Invest humanum,
Fondiaria diabolicum»), per arrivare ai
contemporanei, Fastweb e Genextra, senza tralasciare
quei piaceri della vita che Micheli da incursore «attento e curioso» (copyright
dell’amico Guido Rossi) nel mondo dei potenti, non si è mai fatto mancare, in
un intreccio inscindibile di lusso, cultura e finanza.
Più che Capitalista riluttante, direi un
intruso nel mondo del capitale, con una biografia anomala: questi potenti lei
li ha osservati molto da vicino, ma anche un po’ dal di fuori.
«Io sono sempre stato un po’ il grillo
parlante del potere».
Quando lei si trova preso in mezzo fra due potentoni del periodo, Eugenio Cefis, capo di Montedison, e
il grande arbitro di Mediobanca Enrico Cuccia, che mediava con Agnelli, scrive
nel libro che non si spiegava molte cose. Se ci ha capito poco lei!
«Osservazione lucida. Certe cose, dietro
l’angolo, restano oscure. Con Cefis avevamo sviluppato un rapporto che era
diventato negli anni molto stretto e mi ha stupito quando da un minuto
all’altro nel 1977 mi ha detto che stava per andare da Cuccia per annunciargli
le sue dimissioni. Scomparve dalla scena a 56 anni uno degli uomini più potenti
d’Italia.
Anche di fronte a Cuccia come le dicevo sono
sempre stato un po’ il grillo parlante, quando lui fa la quotazione del Credito
italiano in Borsa a un prezzo folle io, che ero più o meno appena arrivato, mi
trovo al tavolo con lui e sette, otto dirigenti e ingenuamente dico: ma questa
quotazione come si fa a fare così? Lui esterrefatto mi ha guardato negli occhi
e tutti sono rimasti basiti a dirsi: questo è pazzo».
Poi anni dopo, con l’operazione Bi-Invest ha
vinto lei.
«Alla fine ho vinto io, per il fatto che sono
l’unico sopravvissuto alle angherie: nella malavita ti tagliano la gola, nella
finanza ti tagliano i finanziamenti. Ma non solo lui, lo hanno fatto in tanti,
ti portano via i finanziamenti dalla sera alla mattina e tu salti, ed è un
altro modo per uccidere. Quando Roberto Calvi è stato trovato penzolante sotto
il ponte a Londra però, la prima cosa che ho detto è stata: non è un suicidio,
ma è anche cosa che non c’entra niente con la finanza: è malaffare».
Torniamo a Cuccia.
«Lo vedevi per strada era il mostro che
passava, a testa bassa ingobbito per non salutare nessuno ma dentro, in
bottega, si raddrizzava ed era spiritosissimo, divertente anche se molto legato
a un suo passato, aveva un amore fortissimo per Guido Rossi, perché lo trovava
una persona intelligente e colta come lui, un banchiere come quello che l’aveva
creato e cioè Raffaele Mattioli. Anche se poi ha tradito».
In che senso?
«Lo ha tradito nell’essenza, perché Mattioli
voleva fare di Mediobanca una banca per le piccole e medie imprese, e Cuccia
invece ha difeso le grandi famiglie, il grande salotto buono, sopravvivendo ai
debitori di riferimento: parola di Sergio Siglienti».
(...)
Anche lei, un po’ brigante?
«Eh un pochino sì. Giulia Maria Crespi mi
chiamava voyou, anche il mio nome nell’ambiente è
cambiato, prima ero Cecco, poi Franz la volpe, dopo il Cardinale Richelieu, a
seconda dei momenti».
Diciamo che è attratto dal nuovo, non si
chiude di fronte al diverso.
«È che io mi sono sempre incuriosito a quello
che stava succedendo intorno. Dentro di me ho una bruttissima battuta, ma che
rende l’idea e che utilizzo ed è questa: se uno mi propone una cosa orrenda,
tale da reagire dicendo “ma come ti permetti di propormi questa cosa?”, io
rispondo d’istinto: mettiamoci a tavolino e discutiamone, anche se so benissimo
che mai la farò».
Non scarta niente, ritiene che anche dal
letame possano nascere i fiori.
«Per questo ho cambiato spessissimo ambito,
ambienti, l’ho fatto perché pensavo di migliorare, di esplorare. Quando nel
1960 ho cominciato, come procuratore agente di cambio e poi in Montedison, io
venivo da un altro mondo, avevo amici come Guido Martinotti, Eva Cantarella,
Guido Neri, Enrico Filippini, intellettuali, tutto un mondo diverso rispetto
all’altro andazzo».
(...)
«Non distinguevo un’azione da una
obbligazione ed entro a Palazzo Mezzanotte che allora era un mondo surreale
separato dalla realtà: in pochi anni guadagno una follia, a bocca di cannone,
io che avevo fatto molti mestieri e prendevo 500 lire come comparsa alla Scala
per arrotondare».
Oggi è tutto diverso.
«Continuo a essere attento e curioso però non
prendo più iniziative dal punto di vista operativo nel senso che ho un figlio
che se ne occupa e mi diverto, mi continuo a divertire. Ci sono personaggi come
Musk che per me è un alieno, io sono convinto che venga dagli Ufo, è un
extraterrestre che viene chissà da quale galassia perché fa delle cose che un
essere umano non è in grado di fare, ma rischia troppo, finirà per sbattere. Il
mio amico psichiatra Leo Nahon dice che lui ha un cervello disregolato
in senso iperattivo».
In parallelo ha sempre coltivato la passione
per la musica, ha fondato Mito, è stato a lungo consigliere della Scala,
avrebbe voluto anche diventare Sovrintendente?
«Mai. Ma quando, da consigliere, ho visto
come funzionava, anche lì ho fatto il grillo parlante per trent’anni. Voglio
evitare la polemica ma dire che la Scala è Lissner o Pereira è una bestemmia.
Meyer pur venendo dal peggior teatro di repertorio, la Wiener Staatsoper, non ha mai cercato di replicarlo a Milano. Sa
qual è la differenza? Che il teatro di repertorio è mensa aziendale, la Scala è
Cracco. Quando ho visto arrivare i predoni dall’estero francesi o austriaci a
far man bassa, pure culturale, ho sempre reagito. Ora, per una di quelle strane
combinazioni, nei cambiamenti che sono stati fatti in consiglio di
amministrazione, io sono stato fatto fuori da Salvini che all’ultimo ci ha
messo il padre del suo addetto alla comunicazione».
E si consola coltivando, sempre in parallelo,
la sua vita nel lusso.
«Lusso sì, ma non ostentazione, mi piace la
vita sobria e confortevole, mai lo show off. Ovvio che se giro con una goletta
a tre alberi del 1902 può apparire il massimo del lusso, ma oggi quella barca
sarebbe invendibile, perché il mondo è cambiato. È stata la mia ultima, Shenandoah: l’ho goduta negli ultimi venti anni per
continuare a fare più comodamente quello che facevo con barche più piccole,
girando tutto il mondo ed evitando i posti, mi lasci dire, troppo mondani.
Sempre sulle rotte di James Cook».
Insegue la longevità?
«Faccio tutto quello che ho sempre fatto,
faccio palestra, a casa, da solo, ormai ho imparato quelle 4 cose che servono.
A un certo punto mi sono accorto che ero veramente ingrassato in un modo
anormale, a prescindere dall’età. E tre anni fa ho perso 13 chili. In modo
semplice: ero il più grande mangiatore di pane della contea, io mangiavo la
polenta col pane, il gelato col pane, e pensi che Carlo Scognamiglio non ha mai
mangiato pane in vita sua. Così ce l’ho fatta in tre mesi, togliendo il pane, e
mangiando un terzo dei cappelletti, io son di Parma: insomma una fatica
disumana a rinunciare alla torta fritta che altrove si chiama gnocco, quelle
cose di una bontà assoluta».
Lei dice di essere sempre stato innamorato e
che continua a innamorarsi con la stessa impazienza.
«La magia c’è stata con la Mimi, la madre dei
miei figli, ed è stata importante una ragazza che ho citato nel libro,
Annamaria. Poi le donne che mi sono state accanto sono state adorabili, ognuna
sempre con il suo talento».
Ora è innamorato, lei parla della giovane
pianista olandese coreana?
«Certo, Gile Bae rappresenta anche la grande musica, con il bel suono
che possiede, per me è magia. Sempre quaesivi, tandem
inveni… una decina d’anni».
Nel libro ne parla al passato.
«Siamo rimasti molto amici, ma ci siamo
lasciati un anno e mezzo fa».
Allora è in caccia?
«Ma no, dovrei innamorarmi. Onestamente mi
sono sempre innamorato di persone più giovani sì, tutte con un gran talento».
(...)
Intanto ha fatto un lifting, si dice?
«Ho fatto un tagliando lieve, ma la bellezza
per me era la mia amica Gae Aulenti, con le sue rughe
alla Agnelli. Purtroppo alla mia età si perdono per strada persone
straordinarie che è difficile ritrovare oggi, adesso non voglio fare un
discorso da babbione ma quel mondo della mia Milano, dei Tadini, dei Cerri,
degli Eco e della Gae e di Guido Vergani e Calasso e
Pollini con Berio non c’è più. Nella cultura, come nella buona educazione o
nella sensibilità per il bello, nell’essere piuttosto che nell’apparire, c’è un
rimpianto addirittura anche per certi politici».
Berlusconi, che però non nomina nel libro?
«Perché ci siamo incrociati molte volte, ma
non sul lavoro né in politica. Era un uomo buono. La prima volta ero in
Montedison. Una sera la segretaria di Cefis alle nove e mezzo dice: “Oh ci
siamo dimenticati di un signore che aspetta dalle tre del pomeriggio”. E chi
crede che abbiano mandato a raccogliere le ire? Sono andato e ho trovato una
persona con i capelli lunghi dietro, un po' diradati davanti, sembrava un
chitarrista. Ci siamo rivisti spesso, molti anni dopo, lui sempre affettuoso
con me anche se non condividevo tutte le sue idee e non votavo per lui»
***
(Estratto dell'articolo di Maria Luisa Agnese per 7 - Corriere della
Sera)